Fibrillazione atriale: Sintomi, Cura, Cause, Terapia
In condizioni normali, il ritmo cardiaco è caratterizzato dal susseguirsi di impulsi regolari che nascono nel nodo del seno (ovvero il pacemaker naturale del cuore, localizzato in atrio destro) e poi si diffondono a tutto il cuore (atri e ventricoli) in maniera sequenziale e ordinata: si definisce appunto ritmo sinusale. La fibrillazione atriale, invece, si caratterizza per la presenza di una attivazione elettrica atriale rapidissima e totalmente disorganizzata, dovuta alla contemporanea presenza di molteplici fronti d’onda che si propagano e collidono in maniera del tutto casuale e imprevedibile. Il risultato è una contrazione atriale pressoché assente e un battito cardiaco veloce e irregolare.

A tale attività elettrica disorganizzata e velocissima corrisponde un’attività meccanica inefficace, con conseguente rallentamento del flusso ematico e possibile formazione di coaguli all’interno del cuore. Qualora questi coaguli dovesse staccarsi, potrebbero raggiungere qualunque distretto dell’organismo, in particolare il cervello, causando quindi un’ictus. La fibrillazione atriale, d’altra parte, è la prima causa di ictus e proprio per tale motivo è un’aritmia estremamente temibile, da non sottovalutare.
Domande frequenti
Quanto è frequente la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è la più diffusa aritmia cardiaca ed è un importante fattore di rischio per ictus, scompenso cardiaco e morte cardiovascolare. La fibrillazione atriale colpisce circa l’1-2% della popolazione, più frequentemente gli uomini, e sebbene possa interessare anche le persone giovani (in particolare sportivi agonisti), si tratta essenzialmente di un’aritmia correlata con l’invecchiamento. La prevalenza della fibrillazione atriale infatti aumenta dallo 0,5-4,5% nella fascia di età 40-45 anni al 10-15% nelle persone con età uguale o superiore ai 70 anni, sfiorando il 18-20% nella popolazione più anziana di 80 anni.
Classificazione della fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale può essere classificata in quattro tipi:
- Parossistica: gli episodi terminano entro 7 giorni (spontaneamente o con cardioversione).
- Persistente: gli episodi durano oltre 7 giorni ma meno di 12 mesi.
- Persistente di lunga durata: gli episodi durano oltre 12 mesi.
- Permanente: l’aritmia diventa il ritmo definitivo del cuore e non può più essere eliminata.
La fibrillazione atriale può evolvere nel tempo?
Normalmente, la fibrillazione atriale si presenta all’inizio con brevi episodi aritmici, della durata variabile da pochi minuti ad alcune ore, sempre a risoluzione spontanea. Si parla in questo caso di fibrillazione atriale parossistica. Col tempo gli episodi diventano più lunghi e non terminano più spontaneamente ma solo grazie ad un intervento esterno, ovvero mediante la cardioversione (elettrica o farmacologica): in tal caso si parla di fibrillazione atriale persistente. Infine, se l’aritmia non viene trattata ed interrotta, evolverà verso una forma cronica in cui diventa il ritmo costante del cuore e ogni ulteriore tentativo di interromperla risulterà inefficace: si parlerà in questo caso di fibrillazione atriale permanente.
Quali sono le cause della fibrillazione atriale?
Esistono 4 grandi gruppi di cause di fibrillazione atriale:
– La presenza di una malattia internistica, ad esempio alterazioni della funzione della tiroide, anemie severe, stati infettivi e febbrili, post-operatorio, etc.
– La presenza di una grave cardiopatia, ad esempio le cardiopatie valvolari, lo scompenso cardiaco o la cardiomiopatia ipertrofica.
– L’invecchiamento del tessuto atriale: la frequenza della fibrillazione atriale aumenta infatti progressivamente con l’età, passando dallo 0.7% in persone con meno di 50 anni a oltre il 30% in quelle con più di 80 anni.
– La presenza di un disturbo elettrico primitivo, quando compare in persone giovani senza malattie cardiache o internistiche. In questo caso la fibrillazione atriale origina per un problema elettrico localizzato nelle vene polmonari (ovvero le vene che drenano il sangue dai polmoni all’atrio sinistro).
Quali sono i sintomi della fibrillazione atriale?
I sintomi in corso di fibrillazione atriale possono essere molto eterogenei, a seconda dell’età del paziente e alla presenza o meno di una cardiopatia sottostante. Si può andare dal batticuore, mancanza di fiato, dolore toracico o stanchezza intensa all’assenza completa di sintomi. In questo caso ci si accorge della fibrillazione atriale misurando la pressione o i battiti cardiaci e trovandoli veloci e/o irregolari.
Come si fa diagnosi di fibrillazione atriale?
La diagnosi di fibrillazione atriale presuppone l’esecuzione di un elettrocardiogramma che dimostri la presenza di tale aritmia. La registrazione elettrocardiografica può essere fatta mediante un normale ECG, un Holter cardiaco o anche mediante l’utilizzo di smart-watch con capacità di registrare una derivazione ECG. Alla diagnosi elettrocardiografica, segue l’esecuzione di altri esami al fine di escludere patologie internistiche associate e verificare le condizioni del cuore sottostante. Tra questi esami i più comuni sono gli ematochimici completi e l’ecocardiogramma.
Che conseguenze comporta la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è una aritmia importante da riconoscere e trattare perché determina 3 tipi di problemi:
- Sintomi: come abbiamo visto in precedenza i sintomi in corso di fibrillazione atriale possono essere molto eterogenei, andando dal batticuore e dalla mancanza di fiato fino al dolore toracico, stanchezza intensa e svenimento. Sono in particolare le persone con stile di vita attivo che quando vanno in fibrillazione atriale subiscono il maggiore impatto in termini di peggioramento e limitazione del proprio stile di vita.
- Rischio tromboembolico: la presenza di una contrazione atriale meccanicamente inefficace/assente fa sì che il sangue tenda a “ristagnare” negli atri, portando alla formazione di coaguli che se si staccano (ovvero embolizzano) possono diventare causa di ictus. Va tuttavia precisato che il rischio tromboembolico non è uguale per tutti i pazienti ma cambia a seconda della presenza di fattori di rischio, tra cui i principali sono l’età avanzata, un precedente TIA/ictus, il sesso femminile, la presenza di ipertensione arteriosa, di diabete mellito, di scompenso cardiaco e di malattia vascolare. Maggiore è il numero di fattori presenti, maggiore è il rischio di ictus e quindi, maggiore è anche la necessità di avviare una terapia anticoagulante.
- Scompenso cardiaco: una frequenza cardiaca elevata e irregolare può determinare, specialmente in pazienti che hanno già di base una cardiopatia, una progressiva dilatazione delle camere cardiache con riduzione di efficacia del cuore come pompa e, di conseguenza, l’insorgenza di sintomi di scompenso cardiaco.
Che conseguenze comporta la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale è una aritmia importante da riconoscere e trattare perché determina 3 tipi di problemi:
- Sintomi: come abbiamo visto in precedenza i sintomi in corso di fibrillazione atriale possono essere molto eterogenei, andando dal batticuore e dalla mancanza di fiato fino al dolore toracico, stanchezza intensa e svenimento. Sono in particolare le persone con stile di vita attivo che quando vanno in fibrillazione atriale subiscono il maggiore impatto in termini di peggioramento e limitazione del proprio stile di vita.
- Rischio tromboembolico: la presenza di una contrazione atriale meccanicamente inefficace/assente fa sì che il sangue tenda a “ristagnare” negli atri, portando alla formazione di coaguli che se si staccano (ovvero embolizzano) possono diventare causa di ictus. Va tuttavia precisato che il rischio tromboembolico non è uguale per tutti i pazienti ma cambia a seconda della presenza di fattori di rischio, tra cui i principali sono l’età avanzata, un precedente TIA/ictus, il sesso femminile, la presenza di ipertensione arteriosa, di diabete mellito, di scompenso cardiaco e di malattia vascolare. Maggiore è il numero di fattori presenti, maggiore è il rischio di ictus e quindi, maggiore è anche la necessità di avviare una terapia anticoagulante.
- Scompenso cardiaco: una frequenza cardiaca elevata e irregolare può determinare, specialmente in pazienti che hanno già di base una cardiopatia, una progressiva dilatazione delle camere cardiache con riduzione di efficacia del cuore come pompa e, di conseguenza, l’insorgenza di sintomi di scompenso cardiaco.
Come si tratta la fibrillazione atriale?
La fibrillazione atriale richiede un approccio terapeutico altamente personalizzato in cui la scelta del trattamento dipende dalle caratteristiche del paziente, dalla gravità dei sintomi e dalle sue comorbilità. I trattamenti possibili si concentrano su quattro obiettivi principali: la prevenzione delle complicanze tromboemboliche (cioè la prevenzione dell’ictus), la gestione dei fattori di rischio, il controllo della frequenza cardiaca e il controllo del ritmo cardiaco.
1. Prevenzione delle complicanze tromboemboliche
La fibrillazione atriale determina il ristagno di sangue negli atri “paralizzati” con conseguente pericolo di formazione di trombi, ovvero coaguli di sangue, che possono staccarsi e andare ad occludere qualsiasi vaso sanguigno del corpo. La conseguenza più grave e frequente è l’ictus cerebrale. Il rischio di questa complicanza può essere ridotto (ridotto del 60-70%, NON eliminato), grazie all’uso di farmaci anticoagulanti, ovvero farmaci che rendono il sangue “più fluido” ed evitano la formazione di coaguli dentro il cuore. Nei pazienti ad elevato rischio di sanguinamenti nei quali la terapia anticoagulante è controindicata o nei pazienti che non vogliono assumere a lungo termine la terapia anticoagulante, la procedura di occlusione percutanea dell’auricola sinistra rappresenta una valida alternativa terapeutica. Questa strategia terapeutica, infatti, ha ampiamente dimostrato di avere almeno la stessa efficacia della terapia anticoagulante nella prevenzione degli ictus, con il vantaggio però di non esporre il paziente ad un significativo e permanente rischio di sanguinamento (svantaggio, quest’ultimo, tipico e inalienabile di ogni terapia anticoagulante). A questo riguardo, un recentissimo studio internazionale, lo studio OPTION, pubblicato sulla più importante rivista medica al mondo (Wazni O, et al. The New England Journal of Medicine, 2024), ha dimostrato che associare all’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale anche l’occlusione percutanea dell’auricola sinistra permette di poter sospendere la terapia anticoagulante in oltre il 90% dei pazienti portando così ad una riduzione dei sanguinamenti del 56% (già ad un follow-up medio di soli 36 mesi). Un risultato davvero impressionante!
2 . Gestione dei fattori di rischio
I fattori di rischio alla base della fibrillazione atriale si possono dividere in 3 grandi gruppi: quelli legati allo stile di vita, le malattie cardiologiche o internistiche e, infine, i fattori non modificabili, quali l’età avanzata, la familiarità e il sesso maschile. Per quanto riguarda il primo gruppo, uno stile di vita caratterizzato da una alimentazione sana e bilanciata, basso consumo di alcol e regolare (ma non eccessiva) attività fisica quotidiana di tipo aerobico (almeno 10000 passi/giorno) determinano una riduzione del rischio di sviluppare fibrillazione atriale di oltre il 40%. Per quanto riguarda invece il secondo gruppo, trattare efficacemente l’ipertensione, il diabete e tutte le eventuali cardiopatie associati riduce drasticamente l’insorgenza di fibrillazione atriale, oltre a determinare un impatto significativo sulla qualità di vita e sulla riduzione del rischio di morte o altri eventi avversi gravi (es. ictus e scompenso cardiaco).
3. Controllo frequenza cardiaca
Questa espressione si riferisce alla gestione della velocità dei battiti cardiaci, che in corso di fibrillazione atriale, tendono a diventare irregolari e spesso troppo rapidi. L’obiettivo principale è ridurre la frequenza cardiaca ad un livello più normale, tipicamente tra i 60 e i 100 battiti al minuto a riposo, al fine di alleviare i sintomi e prevenire complicanze come lo scompenso cardiaco. Il controllo della frequenza si può ottenere mediante l’utilizzo di farmaci (beta-bloccanti, calcio-antagonisti, diossina) o mediante l’ablazione del nodo atrioventricolare + impianto di pacemaker. In particolare, con questa tecnica, mediante ablazione si interrompe il normale sistema di conduzione cardiaco e la frequenza cardiaca verrà regolata esclusivamente dal pacemaker, impiantato prima o in concomitanza con l’ablazione del nodo. I maggiori benefici di tale strategia sono la semplicità, la riduzione dei sintomi e la prevenzione delle complicanze a lungo termine. Principale svantaggio è il persistere dell’aritmia e quindi un miglioramento della qualità di vita spesso solo parziale.
4. Controllo della del ritmo cardiaco
Si tratta di una strategia mirata a ripristinare e mantenere il normale ritmo cardiaco (ritmo sinusale), anziché limitarsi a controllare la frequenza dei battiti cardiaci. Questo approccio, oltre a prevenire le complicanze a lungo termine, non solo migliora i sintomi ma normalizza completamente la qualità di vita del paziente.
Il trattamento a breve termine della fibrillazione atriale, ovvero la sua interruzione e il ripristino del normale ritmo sinusale, si basa su due approcci:
- Cardioversione elettrica: si tratta di una scarica elettrica sincronizzata che viene erogata sul torace del paziente ed è in grado di resettare il ritmo cardiaco. Può essere eseguita in emergenza, spesso in pronto soccorso, o in un contesto programmato, sempre sotto adeguata sedazione, in quanto dolorosa.
- Cardioversione farmacologica: si utilizzano farmaci antiaritmici, normalmente infusi per via venosa, per interrompere la fibrillazione atriale e ripristinare il normale ritmo cardiaco.
Il trattamento a lungo termine della fibrillazione atriale, ovvero l’eliminazione definitiva dell’aritmia e la prevenzione delle recidive, si basa su due approcci:
- Farmaci antiaritmici: la somministrazione quotidiana di questi farmaci riduce il rischio di recidive di fibrillazione atriale, seppur spesso solo per brevi periodi. I farmaci più utilizzati nella pratica clinica sono la flecainide, il propafenone, il sotalolo e l’amiodarone.
- Ablazione transcatetere della fibrillazione atriale: è una procedura minimamente invasiva mediante la quale, attraverso microbruciature all’interno dell’atrio di sinistra, si vanno ad eliminare i focolai elettrici anormali che causano la fibrillazione atriale, ripristinando un ritmo cardiaco normale stabile. Nella stragrande maggioranza dei casi, poichè i focolai anomali si trovano all’interno delle vene polmonari (piccoli vasi che portano il sangue ossigenato dai polmoni al cuore), l’ablazione mira ad isolare elettricamente queste vene, impedendo ai segnali anomali di propagarsi all’atrio sinistro. Confrontando l’efficacia dell’ablazione transcatetere ai farmaci antiaritmici in termini di riduzione delle recidive di fibrillazione atriale, l’ablazione presenta una efficacia ben superiore, mediamente del 75-85% contro il 25-30% dei farmaci antiaritmici, con un profilo di sicurezza eccellente (complicanze maggiori < 1%).
L’età del paziente è un elemento importante nella scelta di come trattare la fibrillazione atriale?
Mentre una volta l’età del paziente era di fatto una barriera sopra la quale il controllo del ritmo, e l’ablazione transcatetere in particolare, non venivano di fatto più proposte, oggi, la situazione è profondamente mutata. Non conta l’età del paziente ma le sue condizioni generali. Un paziente anche ultra ottantenne ma in condizioni ottime ha da avantaggiarsi dal mantenimento del ritmo sinusale alla stessa maniera di un paziente di 30 anni. Quindi, oggi, l’età non rappresenta più un limite.
Si può guarire dalla fibrillazione atriale?
Sì, si può guarire dalla fibrillazione atriale. È importante però chiarire che questo obiettivo si può perseguire solo mediante l’utilizzo dell’ablazione transcatetere. I farmaci antiaritmici possono ridurre o, raramente, eliminare per qualche tempo gli episodi aritmici ma non modificano in maniera permanente il substrato che ha causato la fibrillazione atriale. E quindi, una volta sospeso il farmaco, l’aritmia ritorna. L’ablazione, andando ad agire fisicamente sul substrato responsabile dell’aritmia, ha invece il potenziale di eliminare la fibrillazione atriale, portando quindi il paziente alla guarigione. La probabilità con cui ciò si può verificare dipende principalmente dal tipo di fibrillazione atriale, dalle condizioni del cuore sottostante e dal tipo di schema ablativo che si decide di effettuare. Pazienti con fibrillazione atriale parossistica e cuore sano hanno una probabilità di guarire molto alta, oltre l’80%. D’altra parte, pazienti con grave cardiopatia strutturale (es. patologie valvolari mitraliche o cardiomiopatia ipertrofica) e forme di fibrillazione atriale di lunghissima durata (FA continuativa per oltre 12 mesi) hanno percentuali di guarigione decisamente più basse, sui 40-50%.
L’ablazione della fibrillazione atriale come può essere fatta?
Per l’ablazione della fibrillazione atriale si possono utilizzare tre principali fonti di energia: la radiofrequenza, la crio-energia col crio-pallone e l’elettroporazione. Per quanto riguarda il trattamento della fibrillazione atriale parossistica, tutte queste tre fonti di energia hanno mostrato in letteratura risultati clinici molto ma molto simili: la scelta di quale energia utilizzare in questi casi si basa quindi essenzialmente sulle preferenze soggettive dell’operatore, giacchè una tecnica non è meglio dell’altra. Per quanto riguarda invece il trattamento della fibrillazione atriale persistente o long-standing persistent (o permanente), l’utilizzo dei cateteri a radiofrequenza è a mio avviso di gran lunga preferibile rispetto alle due altre metodiche disponibili, grazie alla loro maggior efficacia clinica e alla miglior adattabilità a qualunque schema ablativo e a qualunque tipo di aritmia che si può incontrare durante tali procedure.
Che cos’è l’ablazione endo-epi della fibrillazione atriale utilizzata all’Ospedale Mauriziano di Torino?
L’ablazione della fibrillazione atriale è eseguita storicamente e ubiquitariamente con approccio endocardico. Ovvero, mediante la puntura delle vene dell’inguine i cateteri vengono portati dentro il cuore e l’ablazione viene fatta dal versante interno del cuore (ovvero dall’endocardio). Questo approccio, che viene proposto in tutti i centri, ha il limite che se il tessuto cardiaco sottostante da bruciare è molto spesso non si riuscirà a raggiungere la transmuralità della lesione, ovvero a bruciare a tutto spesso e completamente il tessuto patologico. In tale modo, residuando ancora del tessuto cardiaco patologico, il rischio di recidive di fibrillazione atriale dopo la procedura di ablazione è altissimo. Con l’approccio endo-epi (approccio che in Italia viene eseguito esclusivamente presso il nostro centro, all’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino), invece, la bruciatura del tessuto cardiaco patologico viene eseguita contemporaneamente sia dal versante interno, l’endocardio (approccio classico), che dal versante esterno del cuore, ovvero dall’epicardico. In tal modo la bruciatura è molto più profonda, transmurale ed efficace. L’acceso all’epicardio avviene mediante puntura sub-xifoidea, ovvero mediante una puntura al di sotto del costato. Tale approccio integrato endo-epi permette di aumentare l’efficacia dell’ablazione delle forme di fibrillazione atriale più difficili, ovvero quelle persistenti e/o permanenti, del 30-40%, a parità di rischi operatori maggiori.
Contattaci per un appuntamento

Contatti

Sedi Torino

Sede Vercelli

Sede Asti
Sito realizzato da Silvestri Marco